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Proporre al mercato un’immagine di sostenibilità non coerente con la realtà diventa oggi un rischio concreto per le aziende di tutte le tipologie.
Oltre a minare la reputazione e la fiducia degli stakeholder ed essere esclusi da filiere e partner importanti, si può venire citati in giudizio ed essere oggetto di severi controlli con conseguenti multe. Il problema è più che mai concreto: basti pensare che uno studio del 2020 ha rilevato che ben il 53% delle affermazioni sulla sostenibilità erano vaghe, fuorvianti o infondate, con un ulteriore 40% del tutto infondato.*
In questo panorama l’impegno della Commissione nel quadro del Green Deal europeo, si concretizza in una legge severa che punisce le false auto-dichiarazioni in materia ambientale.
Per contrastare il greenwashing, esiste un nuovo accordo tra Parlamento e Consiglio Ue che tutela in primis i consumatori e parla molto chiaro: in primo luogo sarà vietato l’utilizzo improprio di parole come “ecologico”, “naturale”, “biodegradabile, “climaticamente neutro” o “eco”.
Per avvalersi di questi termini sarà infatti necessario poter esibire documentazioni che attestino la veridicità delle informazioni fornite.
La conferma dell’importanza di questa legislazione sta nel desiderio di beni realmente più rispettosi dell’ambiente che sta crescendo rapidamente.
Quasi il 90% dei consumatori della generazione X è disposto a spendere di più in prodotti sostenibili: un dato clamoroso rispetto al 34% nel 2020! *
Alcune osservazioni sono però doverose: la sostenibilità di una parte non equivale alla sostenibilità dell’insieme, anche se alcuni aspetti – riciclabilità, riparabilità e durabilità, ad esempio
– possono essere considerati vantaggi, se comprovati.
La nostra conclusione è che pur essendo favorevoli alla normativa, l’introduzione di un unico metodo di valutazione, come l’impatto ambientale, potrebbe non dare credito alle reali prestazioni di un prodotto.
* Fonte: euronews